Maternità e lavoro in Italia: le leggi a tutela delle donne

Lo dice la nostra stessa Costituzione che, con l’articolo 37, asserisce che “le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”. Oltre alla Costituzione, a regolare il rapporto tra maternità e lavoro è il D. Lgs 151/2001 conosciuto come Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità o anche come Decreto Genitorialità che, nel corso degli anni, è stato poi supportato da altri interventi.

I permessi retribuiti.

Le donne che lavorano e sono in stato interessante, innanzitutto, hanno diritto a permessi retribuiti per gli esami prenatali, gli accertamenti clinici o le visite mediche specialistiche che vengono fatte durante l’orario di lavoro. Questi permessi devono essere richiesti con moduli diversi rispetto a quelli per la malattia o i permessi generici. Si tratta di permessi retribuiti al 100% pertanto non c’è nessuna decurtazione sullo stipendio.

Gravidanza e lavoro a rischio.

Il datore di lavoro deve, di suo, garantire la salute della lavoratrice incinta. Niente pesi, niente lavori faticosi né che prevedevano che le donne stiano in piedi per più di metà dell’orario di lavoro. Le donne in attesa poi non possono essere giustamente esposte ad agenti fisici e chimici né biologici pertanto chi fa un lavoro simile deve essere adibita temporaneamente a lavori diversi.

Ecco nel dettaglio quali sono i lavori a rischio in gravidanza:

lavori pesanti come quelli domestici
lavori che prevedono il sollevamento di carichi pesanti
lavori eccessivamente rumorosi o in ambienti troppo caldi o troppo freddi
lavori soggetti a vibrazioni continue
lavori che, come dicevamo, espongono la donna a sostanze chimiche dannose che possono essere sia inalate che con le quali si può venire a contatto così come agenti biologici ed esposizione a radiazioni ionizzanti.

Chi svolge un lavoro del genere, potrà per l’appunto valutare se ha la possibilità di cambiare mansione o può avvalersi dell’astensione anticipata. Nel primo caso, se per l’appunto verrà cambiata mansione, una donna incinta potrà svolgere lavori di ricerca, in biblioteca, amministrativi o di portineria.

Questo purché non usi troppo la fotocopiatrice, non usi scale portatili (per esempio per archiviare i documenti in alto) e purché l’uso del computer sia al massimo di 20 ore alla settimana.

La maternità anticipata.

Se le condizioni di lavoro pregiudicano la gravidanza e la lavoratrice non può essere spostata a un’altra mansione, è previsto il congedo di maternità anticipato cui hanno diritto tutte le lavoratrici, indipendentemente dal tipo di contratto, e anche le autonome. In questo caso la retribuzione è pari all’80% dell’ultima busta paga.

La maternità anticipata può essere chiesta anche se ci sono complicazioni in gravidanza, che niente hanno a che vedere con il lavoro svolto, o se ci sono forme morbose preesistenti che si pensa possano aggravare lo stato di gravidanza.

Un esempio può essere uno stato di depressione che durante la maternità va acuendosi sempre di più. In questo caso, il lavoro non è detto aiuti, anzi può sottoporre la donna a maggiore stress.

Come si ottiene la maternità anticipata

Se i motivi sono meramente di salute, la donna incinta deve presentare richiesta alla ASL di pertinenza, presentando un certificato medico che attesta la gravidanza e un altro, di solito fatto dal ginecologo, in cui il medico conferma le complicazioni della gravidanza.

Se invece si tratta di motivi legati all’ambiente di lavoro, deve presentare la domanda alla DTL(Direzione Territoriale del Lavoro) con sede nella città di residenza, sempre accompagnato da certificato che attesti la gravidanza.

Una volta fatto questo, la DTL darà una ricevuta in duplice copia che dovrà essere portata al datore di lavoro. Entro 7 giorni viene comunque data l’approvazione della domanda, di solito vige il silenzio assenso.

Se il tuo ginecologo non è accreditato dal Servizio Sanitario Nazionale, è possibile che tu venga sottoposta a un accertamento sanitario in una struttura pubblica.

Altra cosa da sapere: il passaggio dalla maternità a rischio al congedo obbligatorio di cui parliamo sotto non è automatico pertanto dovrai fare espressamente richiesta ed entro i termini previsti dalla Legge.

Il congedo di maternità

Il congedo di maternità può essere dato a lavoratrici dipendenti del settore pubblico e privato per un periodo complessivo di 5 mesi: 2 prima del parto e 3 dopo. In questo periodo, le donne ricevono l’80% dello stipendio. A questo tipo di congedo hanno diritto anche le lavoratrici autonome e le iscritte alle varie gestioni separate.

È possibile però anche rimandare l’astensione dal lavoro fino a un mese prima del parto, grazie al congedo di maternità flessibile (legge 53/2000). Per continuare a lavorare a gravidanza così inoltrata, oltre a sentirti bene, devi avere una certificazione del tuo ginecologo.

Maternità e licenziamento: cosa devi sapere

Se sei stata assunta da poco e temi di dovere dire al tuo capo che sei in stato interessante, o magari hai avuto di recente una promozione o stavi per averla, puoi ovviamente temere che la notizia non sarà accolta bene. Intanto questo non è detto, ma sappi anche che la legge è dalla tua parte: nessuna donna può essere licenziata fino a quando il bambino non ha compiuto 12 mesi. Forse un lasso di tempo non troppo vasto – a un anno un bimbo è ancora molto piccolo e non è facile trovare un lavoro – ma sicuramente una tutela importante.

La Legge tutela anche quelle donne che si dimettono durante la gravidanza e fino al primo anno del bambino per evitare che ci sia dietro un licenziamento imposto dal datore di lavoro o un caso di “dimissioni in bianco”.

Dimissioni e maternità: disoccupazione entro un anno

Se ti dimetti entro un anno da quando è nato il tuo bambino, inoltre, hai diritto a percepire la Naspi. Stando infatti all’articolo 55, sempre del Decreto Genitorialità, tale diritto può essere esercitato da 300 giorni prima della data presunta del parto al compimento dell’anno di vitadelbambino, e questo indipendentemente dal fatto che si sia percepita o meno l’indennità di maternità per parte di quel periodo.

Possono presentare le dimissioni e ottenere la Naspi tutte le lavoratrici dipendenti sia assunte a tempo determinato che indeterminato del settore privato, oltre a quelle assunte a tempo determinato nel pubblico. Non vale invece per le lavoratrice della PA a tempo indeterminato.

La legge sull’allattamento

E quando la donna rientra al lavoro a cosa ha diritto? La disciplina sulla maternità riconosce che la mamma possa prendersi cura del bambino durante il suo primo anno di vita, prendendo permessi giornalieri per allattamento. Nello specifico si tratta di due periodi di riposo giornalieri, di un’ora ciascuno, durante l’orario di lavoro che possono essere anche cumulati.

Mentre se si lavora meno di 6 ore, è previsto un solo periodo di riposo. Molte donne tendono ad accumularli e a uscire prima dal lavoro. Se invece la mamma porta il bambino all’asilo nido o in una struttura istituita dal datore di lavoro dentro il luogo di lavoro o nelle vicinanze, i periodi di pausa si riducono di mezzora. Ovviamente sono considerati ore di lavoro pertanto retribuiti al 100%.

La Legge riconosce alla madre che lavora la facoltà di astenersi dal lavoro, oltre al congedo di maternità obbligatorio, per un periodo – di seguito o frazionato – che non sia superiore a 6mesi dalla data di cessazione del congedo di maternità post partum.

Questo vale anche per il padre lavoratore che può assentarsi dal servizio dalla nascita del figlio per un periodo massimo di 6 mesi, che arriva a 7 qualora il padre si sia assentato dal servizio per un periodo, continuativo o frazionato, non inferiore a 3 mesi. In questo caso, l’ammontare complessivo di mesi in cui entrambi i genitori lavoratori sono in congedo parentale è pari a 11 mesi, nei limiti massimi individuali di 4 mesi per la madre e di 7 mesi per il padre.

E se sì è ragazza madre o ragazzo padre? Ci si può assentare per un periodo massimo di 10mesi, continuativi o frazionati.

Congedo parentale per malattia del bambino

Oltre  a quanto detto sopra, esiste anche il congedo per la malattia del figlio. Un congedo non retribuito (o parzialmente retribuito) che consente ad entrambi i genitori, anche adottivi o affidatari, di poter svolgere la propria essenziale funzione familiare nei confronti del proprio bambino, nel momento del bisogno come uno stato di malattia, senza che l’assenza possa essere ritenuta ingiustificata.

La durata del congedo varia a seconda dell’età del bambino e può essere fruito da entrambi i genitori, purché non contemporaneamente.

Vediamo in dettaglio.

Entrambi i genitori hanno dunque diritto a:

congedi per malattia del bambino, senza limiti di tempo (per chi lavora nel privato), nei primi 3 anni di vita del figlio e questo indipendentemente dal tipo di malattia. Per chi lavora nel pubblico, sono invece 30 giorni all’anno per i primi 3 anni;
5 giorni lavorativi all’anno, per ogni genitore, per un periodo massimo di 10 giorni e questo quando il bambino ha dai 4 agli 8 anni. Tali giorni non possono essere presi contemporaneamente.

Il trattamento economico e quello previdenziale

Tali giorni presi per la malattia del bambino hanno una valenza diversa a seconda che si lavori nel pubblico o nel privato.

Nel pubblico:

fino a 3 anni di vita del bambino, quei 30 giorni di cui parlavamo sono retribuiti al 100%.

Nel privato:

i giorni non sono retributi, ma contribuiscono comunque all’anzianità di servizio (ad eccezione delle ferie e della tredicesima), sono coperti da contribuzione figurativa fino ai 3 anni del bambino e ridotta, con possibilità di contribuzione volontaria fino agli 8 anni.

Ci sono comunque casi, previsti dai CCNL, in cui le condizioni possono essere più favorevoli di così.

Il bonus bebè 2018

E quali sono i bonus per le mamme nel 2018?

Uno è sicuramente il bonus bebè, chiamato anche assegno di natalità che però è un aiuto dello Stato solo per un determinato numero di famiglie, quelle con basso reddito. Possono infatti ottenerlo solo le quelle che hanno un reddito ISEE fino a 25mila euro. Un bonus che è così suddiviso:

80 euro al mese, 960 euro all’anno per ogni figlio nato o adottato da una famiglia con ISEE fino a 25mila euro annui
160 al mese, 1920 all’anno per famiglie con ISEE fino a 7mila euro annui

Si tratta comunque di un aiuto esiguo che riguarda solo i primi 3 anni di vita del bambino e che non è un vero e proprio sostegno alle mamme in difficoltà né al riprendere il loro lavoro.

Bonus mamma domani 2018

Dal 4 maggio 2017, con la Legge di Bilancio, è stato invece introdotto un assegno di natalità anticipato. Si chiama bonus mamma domani e possono richiederlo le future mamme dal settimo mese di gravidanza in poi e anche dopo che è nato il bambino. L’importo di questo bonus è di 800 euro una tantum.

Bonus bebè asilo nido 2018

Nella carrellata dei bonus c’è da considerare anche il bonus bebè asilo nido fino a 1000 euro.Questo viene dato indipendentemente dal reddito per:

aiutare i genitori a pagare la retta di asili nido pubblici o privati autorizzati
aiutare i genitori di bambini sotto i 3 anni malati gravi attraverso forme di supporto nella loro abitazione

Il bonus nido è spalmato su 11 mesi, viene dato per i bambini fino a 3 anni e l’importo complessivo è calcolato in base alle ore di asilo nido frequentate. Trattandosi di un contributo pari a 1000 euro all’anno, in totale si potrà avere diritto fino a massimo 3mila euro.

Bonus baby sitter 2018

Sempre grazie alla Legge di Bilancio è stato previsto il cosiddetto “Contributo per l’acquisto di servizi di baby sitting”, meglio conosciuto come bonus baby sitter che spetta alle mamme che decidono di non usufruire del congedo parentale. Si tratta di un contributo economico che puoi richiedere sia che tu decida di avvalerti di una babysitter che di mandare tuo figlio all’asilo nido, pubblico o privato convenzionato.

L’importo deciso dall’Inps è di massimo 600 euro mensili per 6 mesi (3 per le lavoratrici autonome). Tale contributo vale anche per le lavoratrici part time però in proporzione al numero di ore lavorate.

Assegno di 1500 euro per la nascita del figlio

Infine, nella carrellata degli aiuti dello Stato alle famiglie c’è l’assegno di 1500 euro che può arrivare anche a 1700 per le mamme disoccupate. Conosciuto anche come assegno maternità dei comuni è un contributo che viene dato appunto dagli Enti locali, tra cui anche il Comune di Milano.

Per ottenerlo bisogna fare richiesta entro 6 mesi dalla nascita del bambino e avere questi requisiti: residenza nel Comune che lo eroga, essere cittadina europea o avere lo status di rifugiato politico o di protezione sussidiaria o ancora avere regolare permesso di soggiorno. Inoltre, devi essere disoccupata o casalinga o non avere beneficiato di nessuna tutela della maternità dell’Inps o del datore di lavoro o avere ricevuto prestazioni inferiori al valore dell’assegno previsto che nel 2017 nel comune di Milano era di 1694,95. Si tratta comunque di un contributo che aiuta chi ha un ISEE basso: non deve essere oltre  16.954,95 euro.